(Parte 1) Domenica 7 luglio si è tenuto in Francia il secondo turno delle elezioni legislative, indette dal presidente Emmanuel Macron in seguito agli esiti del voto delle europee. Le elezioni sono state le più partecipate dal 1997, registrando un’affluenza superiore al 65% (66,7%), un vero e proprio record per le democrazie contemporanee; pare infatti che i cugini d’oltralpe abbiano fatto proprio l’espressione di Albert Camus, che recita <<Quando la democrazia è malata, il fascismo viene al suo capezzale ma non è mai per sapere se stia bene>>. Il voto è stato celebrato in un clima particolare, anomalo: un tema che farà da file rouge tra tutti i diversi aspetti che saranno evidenziati di seguito.
Anzitutto, il contesto: l’8 e 9 giugno si è tenuto il voto nei Paesi membri dell’Unione europea, che ha visto la nascita di una notevole bolla di destra (non propriamente istituzionale) in tutta l’UE. Guardando al caso francese, a preoccupare è stato il risultato conseguito da Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen e Jordan Bardella, partito di destra nazionalista e antieuropeista. Mentre ancora erano in corso gli exit poll, Macron ha annunciato lo scioglimento del Parlamento francese (ma non le proprie dimissioni), chiamando gli elettori al voto e riconoscendo la perdita di consenso per Renaissance – La République en Marche! (RE – LREM), il partito presidenziale di maggioranza relativa. L’annuncio dello scioglimento delle camere ha portato ad una ondata di panico in Francia (e nel resto d’Europa), che ha fatto temere per la nascita di un governo di ultradestra nazionalista, seppur mitigato dalla permanenza di Macron alla carica di presidente della Repubblica. Occorre ora fare due precisazioni (e diverse semplificazioni per amor di brevitas).
L’indizione è di per sé particolare, in quanto a seguito della riforma costituzionale del 2000, il voto per esecutivo e legislativo è divenuto sostanzialmente coincidente, evitando situazioni di instabilità politica (divenute più frequenti a causa delle coabitazioni). Pertanto, il voto per la costituzione del Parlamento è divenuto quasi secondario rispetto all’elezione del presidente della Repubblica, un passaggio che va semplicemente a confermare e dare sostegno al candidato per l’Eliseo. Queste elezioni, al contrario, hanno posto al centro la sola ristrutturazione delle forze parlamentari, rendendo ancora più straordinaria l’affluenza registrata.
Il sistema politico francese prevede due voti disgiunti seppur celebrati nello stesso giorno; uno per il Parlamento ed uno per la carica presidenziale, che riveste l’effettivo potere esecutivo. Questo sistema del tutto peculiare è definito “semipresidenziale”, ed ammette quindi la coesistenza tra una maggioranza parlamentare ed un presidente della Repubblica di segni diversi. Questa rara evenienza è chiamata cohabitation ed è stata incontrata per sole tre volte nella vita della Quinta Repubblica. Nello scenario prospettato a seguito del voto dell’8 e 9 giugno, si avrebbe assistito alla nascita di una quarta coabitazione, tra il primo ministro Bardella e il presidente Macron, risultando in un forte depotenziamento di entrambe le figure.
Tuttavia, le cose sono andate diversamente: se il voto del 30 giugno ha confermato le tendenze di voto delle europee, il 7 luglio abbiamo vissuto un totale ribaltamento dei rapporti di forza tra partiti: il Nouveau Front Populaire (NFP), la coalizione di sinistra guidata da Jean-Luc Mélenchon, ha ottenuto la maggioranza dei seggi (178), seguita da Ensemble (En)di Macron (150); solo poi troviamo RN con i suoi 142 eletti. Nonostante il risultato inatteso (ma largamente auspicato), nessuna delle forze politiche ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti (289 seggi), ed è necessario fare alcune considerazioni, che affondano nel retroterra politico, culturale e storico delle fazioni in campo. In generale, si potrebbe dire che se il NFP ha vinto, allora RN ha perso; infine, tra i due, la coalizione Ensemble non ha perso. Occorre ora chiedersi: è davvero così?
Il Rassemblement National ha dei posizionamenti politici ed una storia sovrapponibili a quella di Lega e Fratelli d’Italia. Proprio come il partito di Giorgia Meloni è erede diretto del Movimento Sociale Italiano, a sua volta legato al partito fascista, il partito di Marine Le Pen è discendente del Front National, legato a Ordre Nouveau, organizzazione nostalgica della Repubblica di Vichy. Proprio per questo, negli ultimi anni il partito ha investito pesantemente nella ridefinizione della propria immagine, svolta ad un livello meramente comunicativo ma non contenutistico: i riferimenti al nazionalismo, all’autarchia, alla grandeur della cultura francese ed all’antieuropeismo sono il vero succo del programma a tratti razzista del movimento lepenista; ciò che cambia è solo il modo in cui viene presentato all’elettore, cercando di rendere il messaggio quanto più condivisibile ed innocuo possibile. Il risultato è uno sdoganamento di posizioni sempre più estreme e pericolose, che alza il livello dello scontro tra varie parti della società francese: i clevages che vanno affrontandosi nel corpo elettorale rispecchiano ampiamente la divisione città/campagna e, quasi parallelamente, nazionalismo/cosmopolitismo. Confrontando una mappa dei risultati dei collegi elettorali nel primo turno ed una che mostra la distribuzione della popolazione sul suolo francese, diventa evidente come il RN sia stato principalmente votato nelle campagne e nei piccoli centri urbani, dimostrando come il tema della sicurezza sia vissuto più intensamente dai cittadini lontani dalle metropoli che non dagli abitanti delle stesse, che pur si trovano a convivere con i tumulti delle banlieue e con la microcriminalità che spesso le caratterizza (dovuta a sua volta dalla mancanza di integrazione ed opportunità di lavoro). Al contrario, le grandi città hanno visto vincere il NFP e la coalizione macronista, dimostrando la persistenza di un afflato cosmopolita tipico delle metropoli francesi. Nonostante ciò, va guardato al dato oggettivo: seppur NFP ed En abbiano vinto più collegi di RN, quest’ultimo ha comunque ottenuto il maggior numero di voti (37,05%), incassando comunque un risultato da non ignorare.
Il sentimento di insicurezza è dunque il maggiore alleato dell’ultradestra francese, la quale ha potuto contare su un ulteriore aiuto, piuttosto insolito: Les Républicains (LR) di Éric Ciotti. Il ruolo giocato dal partito rappresenta una nuova anomalia, se paragonata alla sua storia: i repubblicani, indicati come destra moderata, hanno sempre giocato un ruolo attivo nell’arginare le derive estremiste di ultradestra, fungendo da vero e proprio cordon sanitaire nella vita politica del Paese. Questa volta, dopo l’annuncio delle elezioni, LR è caduto in un caos politico senza precedenti, che ha visto il leader Ciotti militare per un’alleanza con RN, guadagnandosi l’espulsione dal partito, fedele alla linea antifascista. A questo non è però seguita una chiara presa di posizione contro RN: la dirigenza, dopo il voto del 30 giugno, si è limitata a non dare indicazioni di voto, lasciando i propri elettori liberi di scegliere tra il campo lepenista ed il cosiddetto “Fronte Repubblicano” (dato dal tacito accordo tra NFP ed En). Intanto Ciotti, pochi giorni dopo il voto, ha costituito un nuovo gruppo parlamentare insieme ai transfughi espulsi da LR ed eletti con RN, chiamato À Droite.
(A cura di Gabriele De Fazio)