Pacifinti d’Italia

da | Giu 30, 2024 | Politica Internazionale

Ah! les cons! s’ils savaient…
Il Primo Ministro Francese Édouard Daladier mentre assisteva alla folla francese, entusiasta per gli accordi di Monaco del 1938.

In inglese l’espressione war fatigue sta ad indicare la stanchezza che la popolazione di un paese da molto tempo in guerra comincia ad accusare a causa dei continui combattimenti. È un fattore che il più delle volte si è rivelato determinante nell’esito di molte guerre del passato. Sono ormai due anni e mezzo che la popolazione ucraina è in guerra e, dopo un iniziale slancio di orgoglio, forza e coesione nazionale, la war fatigue comincia a farsi sentire. Sia chiaro: è comprensibilissimo che la popolazione ucraina, dopo anni di combattimenti, sia stanca di tutto ciò. Recentemente il Paese si è diviso sulla questione dell’età minima di arruolamento, che dovrebbe scendere, dagli attuali 27 anni, a 25. La difficoltà che l’esercito ucraino sta avendo nell’arruolare nuovi soldati è uno dei fattori più preoccupanti per il futuro sviluppo della guerra contro l’invasore russo. Sono soprattutto gli ucraini che vivono nelle zone più rurali del Paese a non voler andare in guerra per un governo che, a detta loro, non si è mai curato dei loro problemi e ora vuole che vadano a combattere.

Se è facile comprendere la stanchezza degli ucraini, molto più difficile riesce capire i motivi della “stanchezza” che nei paesi tecnicamente alleati dell’Ucraina (Italia compresa) si trova in alcuni programmi televisivi e pagine di giornali. Le prime settimane dall’invasione russa hanno portato, nel nostro Paese, uno spettacolare senso di solidarietà nei confronti della popolazione ucraina: i servizi di informazione seguivano lo sviluppo della guerra passo dopo passo mentre tutti, o quasi, speravano che la colonna di tank russi diretta a Kiev non arrivasse mai a destinazione. Dopo qualche mese, l’atteggiamento di sempre più persone nei confronti della vicenda ucraina ha cominciato a mutare. Sin dall’inizio personalità come Alessandro Orsini, Michele Santoro e Carlo Rovelli – per citarne alcuni – hanno sostenuto una linea a loro detta “pacifista”. Questa visione delle cose prevede la resa dell’Ucraina alla Russia e giudica la NATO colpevole di aver provocato la Russia accogliendo al suo interno nazioni libere e sovrane che hanno deciso autonomamente di farne parte. Un atteggiamento che trova i suoi sostenitori anche in politica: Giuseppe Conte è il leader politico che più si schiera contro l’invio delle armi all’Ucraina. Fatto alquanto curioso se si pensa che, quando era membro della maggioranza di Governo con Mario Draghi, lo stesso Conte diede il via libera a più di una fornitura di armi.

Questi pacifisti – o sedicenti tali – ritengono che supportare l’Ucraina con le armi sia un atto incosciente e che rischierebbe di far scoppiare un conflitto mondiale nucleare tra la Russia e le forze NATO. Un pacifismo, il loro, capace solo di proporre lo stop alla fornitura di armi e nient’altro. Michele Santoro ha così intitolato un incontro in piazza tenuto a fine maggio: “BASTA ARMI!”. Sono per l’appunto le armi, e la loro fornitura, a creare scompensi nella mente di Santoro e dei suoi sostenitori. Bisognerebbe dunque cessare ogni consegna di armi perché queste porterebbero solo morte, distruzione e costi umani e materiali. Fin qui, niente di illogico: non si può di certo sostenere che le armi siano qualcosa che contribuisce alla pace nel mondo e alla fratellanza dei popoli. Quello che sembra però mancare nella logica dei “pacifisti de noiartri” è il concetto di deterrenza. Se l’Europa avesse seguito sin dall’inizio la loro politica di stop all’invio delle armi, l’Ucraina avrebbe cessato di esistere nel giro di qualche settimana e sarebbe ora uno stato della Federazione Russa. Ma dato che c’è a chi piace parlare di fatti, sostenuti da dati, e non di opinioni infettate da ideologie e sentimentalismi, ci chiediamo: quante armi, effettivamente, sono state date all’Ucraina dall’Italia?

Rispondere con precisione a questa domanda è molto difficile, poiché le consegne di armi, il tipo, la quantità e altri dettagli sono coperti da segreto di stato per motivi di sicurezza. Solo il ministro della difesa Guido Crosetto e i membri del COPASIR sono a conoscenza di questi dati. Secondo il quotidiano tedesco Die Welt, che cita il rapporto del Kiel Institute sugli aiuti concessi all’Ucraina dai vari Paesi, l’Italia si colloca solo al diciassettesimo posto tra i donatori con una spesa complessiva di 1,3 miliardi di eurotra aiuti militari, finanziari e umanitari. Questo ranking non proprio onorevole l’Italia l’ha guadagnato con gli aiuti promessi a livello europeo: calcolando solo gli aiuti provenienti da accordi bilaterali Italia-Ucraina la situazione risulta ancora peggiore. Ciò che più balza all’occhio, guardando una lista delle armi consegnate all’Ucraina, è la tipologia di queste ultime: spesso si tratta di armamenti che l’Esercito Italiano non utilizza più da tempo perché datati. Quelli nuovi – in particolare i mezzi blindati Lince – sono stati venduti, e non donati, all’Ucraina. Il supporto militare italiano all’Ucraina è oggettivamente diminuito da quando si è insediata la presidente del consiglio Giorgia Meloni. Ciò non sorprende, dato che nell’attuale governo vi sono ministri membri della Lega, partito che, tramite il suo segretario Matteo Salvini, si è spesso dichiarato contro la fornitura di armi all’Ucraina. Senza considerare i controversi rapporti tra Salvini e Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, che il Segretario del carroccio pubblicizzava con orgoglio e che dopo l’invasione dell’Ucraina cerca di far dimenticare.

L’argomento principe nelle dichiarazioni di chi si schiera contro l’invio delle armi all’Ucraina risiede nella spesa, a detta loro, eccessiva di cui l’Italia deve farsi carico. È bene ricordare ancora una volta che critiche di questo tipo provengono dalla Lega di Salvini, forte sostenitrice di un ponte sullo Stretto di Messina il cui solo progetto è costato sinora €13 miliardi, e dal Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, ideatore del Super-Bonus edilizio che ha estratto dalle casse pubbliche €130 miliardi. Per i “pacifisti” i soldi che l’Italia usa per le armi all’Ucraina sarebbero meglio spesi nella sanità o nella scuola, dimenticando che i soldi stanziati per le spese militari non possono essere magicamente dirottati in altri ambiti.

I vari Salvini, Santoro, Rovelli, Orsini e chi più ne ha più ne metta amano citare l’articolo 11 della Costituzione Italiana. A voler essere più precisi, amano citare il primo comma dell’articolo: “L’Italia ripudia la guerra”. Se facessero lo sforzo di proseguire nella lettura del breve articolo, troverebbero: “[…] come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. L’Italia, dunque, ripudia l’uso che Putin ha fatto della guerra e, per difendere la nazione aggredita dalla sua guerra, l’unico strumento valido è l’uso delle armi.

(Articolo realizzato in collaborazione con gli Incendiari)