Le università e le accuse di genocidio verso Israele

da | Mag 15, 2024 | Politica Internazionale, Università e Ricerca

Prima di tutto: cosa intendiamo con il termine «genocidio»? La Treccani definisce «genocidio» la «sistematica distruzione di una popolazione, una stirpe, una razza o una comunità religiosa». La parola magica è «sistematica» e significa che un genocidio non viene valutato sulla base di un criterio solamente aritmetico. Per esserci un genocidio i morti non devono essere soltanto numerosi (qualsiasi guerra sarebbe, altrimenti, un genocidio), ma devono rispondere ad una logica «sistemica», cioè ad un preciso progetto di sterminio. La Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide approvata dalle Nazioni Unite puntualizza proprio che il genocidio deve essere compiuto «with intent»; fu così, ad esempio, per il più atroce genocidio della storia: l’Olocausto (sebbene neanche in quel caso il crimine di genocidio rientrò formalmente nella sentenza). I sei milioni di ebrei sterminati da Hitler furono vittime di un meccanismo infernale e pianificato in ogni dettaglio, che portò alla decimazione della popolazione giudaica.

È possibile quindi dire lo stesso per le migliaia di morti palestinesi degli ultimi mesi?

Cominciamo dai numeri. I dati demografici ci mostrano che dagli anni Cinquanta ad oggi la popolazione palestinese è passata da circa un milione a circa cinque milioni e mezzo di persone. C’è però di più. Oltre ad essere cresciuta nei territori sottoposti all’autorità palestinese, la componente arabo-israeliana, che rappresenta il 20% della popolazione di Israele, è cresciuta anche all’interno dello stesso stato d’Israele.

Qualcuno potrebbe obiettare che è soltanto da dopo il 7 ottobre che Israele ha intrapreso il suo genocidio, e che quindi è soltanto da dopo il 7 ottobre che la popolazione palestinese ha cominciato a diminuire. L’obiezione deve essere considerata con attenzione, tenendo però presente che alcune accuse di genocidio contro lo stato di Israele risalgono già a prima del 7 ottobre.

Nel pamphlet “La questione palestinese e noi”, di recente pubblicato dal centro sociale EX OPG “JE SO’ PAZZ”, ad esempio leggiamo: «In quanto progetto volto alla creazione di uno Stato ebraico – nel senso demografico del concetto, cioè composto, il più possibile, solo da ebrei – il sionismo combina le dimensioni di pulizia etnica e di apartheid», pertanto «etno-nazionalismo» e «razzismo istituzionale» rappresentano «elementi strutturali e strutturanti delle istituzioni statali di Israele», oppure: «Il 7 ottobre è l’imprevisto… che ha messo in luce il piano genocida che aveva come oggetto il popolo palestinese». Un piano che, secondo quanto scritto, si desume dovesse già esistere prima del 7 ottobre.

Accettando i numeri del “Corriere della Sera”, constatiamo che dall’inizio dell’operazione israeliana a Gaza la popolazione della Striscia è effettivamente diminuita – ad oggi – di circa 33.600 persone. L’esistenza di un massacro in corso è perciò fuori discussione, piaccia o no a chi sostiene l’inaffidabilità dei numeri «inaffidabili di Hamas». Tuttavia, la domanda che bisogna porsi è la seguente: questi 33.600 palestinesi sono morti a causa di un genocidio? In altri termini: esiste un’intenzione o un progetto di sterminio nella strage di queste decine di migliaia di persone?

Prima di ogni ulteriore considerazione va innanzitutto ribadito che parliamo di cifre aberranti e che, come scritto in “Genesi”, il sangue di ogni vittima grida giustizia al cielo. Lo stato di Israele, e in particolare il suo primo ministro Benjamin Netanyahu, è quindi responsabile di ogni morto invano e di ogni innocente a cui le barbarie della guerra hanno strappato la vita, ma l’enormità della strage non deve essere confusa con la sua sistematicità.

L’operazione a Gaza – che certamente porge il fianco all’accusa di probabili crimini di guerra – persegue obiettivi dichiarati che poco hanno a che vedere con lo sterminio dei palestinesi: tutto quello che, in modo fallimentare e sanguinario, Israele cerca di fare è distruggere Hamas e liberare gli ostaggi del 7 ottobre. Le vittime palestinesi sono quindi il tragico danno collaterale del perseguimento di questi obiettivi. In aggiunta, una serie di fattori contribuiscono all’alto numero di morti: la densità di popolazione nella Striscia, l’uso da parte di Hamas dei civili come scudo umano, la sciatteria delle operazioni militari, l’emotività dei soldati e l’accettazione di un numero troppo alto di morti considerato come fisiologico.

Tuttavia, se le cose stanno come scritto sopra e l’accusa di genocidio trova deboli fondamenti – l’insondabilità delle intenzioni umane non ci permette però di giungere alla certezza assoluta – come mai in determinati ambienti, universitari e non, tra collettivi studenteschi e frequentatori di centri sociali, la questione del genocidio è diventata un fatto acquisito? Come mai questi soggetti possono affermare senza il minimo dubbio o la minima titubanza che sì, Israele è colpevole di un genocidio? Sanno qualcosa che i più non sanno? Oppure – come purtroppo spesso accade – sfugge loro qualche informazione fondamentale? Il sospetto di chi scrive è un altro.

Qualche giorno fa, alla sede di Porta di Massa della Federico II, dopo aver tentato di farci firmare un appello in cui si chiedeva di interrompere l’invio di armi ad Ucraina ed Israele – l’Italia già ora non vende di fatto armi ad Israele – incalzata dalle domande di alcuni presenti, una studentessa ha finalmente dichiarato: «Israele non ha il diritto di esistere». Nella medesima sede è avvenuto un altro episodio simile. Questi brevi accenni servono però per chiarire un fatto: c’è una parte del mondo studentesco che allude alla distruzione dello Stato ebraico. Senza se e senza ma. La vecchia soluzione dei due popoli e due Stati non li soddisfa più: Israele deve scomparire e al suo posto deve sorgere un nuovo Stato (che alcuni identificano nella sola Palestina) «dal fiume al mare», cioè dal Giordano al Mediterraneo. Una rapida occhiata alla cartina dei territori coinvolti ci consente di coglierne le implicazioni: dove c’è Israele dovrà sorgere il nuovo Stato, e l’«entità sionista», come alcuni la definiscono, dovrà essere rasa al suolo.

Interpretata in questi termini, quella di genocidio appare, secondo l’opinione di chi scrive, una diffamazione funzionale all’obiettivo di demonizzare Israele, di attribuirgli l’immagine di Stato canaglia, di Germania nazista del XXI secolo, al punto da squalificare come indecente qualsiasi forma di collaborazione – per quanto pacifica possa essere – con esso. Più che un fatto deducibile dagli eventi effettivamente in corso, quello del «genocidio» appare invece, alla Sorel, un mito mobilitante, una narrazione ad effetto capace di catturare nella propria ragnatela un’opinione pubblica che, a differenza di chi in nome di falsi miti decoloniali o di un frainteso realismo politico giustifica mattanze e violenze, conserva ancora un briciolo di decenza e umanità.

(Articolo realizzato in collaborazione con gli Incendiari)