I risultati delle elezioni europee tenutesi dal 6 al 9 giugno hanno dato luce ad un netto cambiamento delle preferenze nazionali del vecchio continente, evidenziando un allineamento dell’elettorato europeo sempre più marcato verso le destre nazional-conservatrici.
Il rinnovato successo elettorale di FDI in Italia (ben oltre il 26% delle ultime legislative), il sorpasso dell’estremista Alternative für Deutschland a discapito dei socialdemocratici al governo della SPD e la netta affermazione del Rassemblement National di Marine Le Pen sottolineano uno stravolgimento nell’ossatura politica dell’Unione Europea. Sebbene tale stravolgimento non paia cambiare clamorosamente l’asse partitico del parlamento europeo, esso, unito al sentimento incerto che pervade tutto il continente dal 2022, desta particolare preoccupazione per la tenuta delle dirigenze politiche moderate dei paesi europei.
Questo discorso vale soprattutto per la Francia, dove da tempo si notava un avanzamento dell’onda nazionalista e conservatrice di Marine Le Pen. Il presidente moderato Emmanuel Macron ha preso la drastica decisione di sciogliere il parlamento, consapevole di non avere più il Paese con sé. Nel fare ciò, Macron si è avvalso dell’articolo 12 della costituzione – chiamando anticipatamente alle urne i cittadini francesi per le elezioni legislative e, di conseguenza, per la nomina di un nuovo primo ministro.
Questa mossa inattesa del presidente Macron ha ulteriormente destabilizzato il clima politico interno. Macron si è giustificato parlando di “una chiamata di responsabilità verso tutti i cittadini francesi”, tenuti a scegliere una volta per tutte da quale parte stare. Il presidente ha inoltre ribadito che, qualunque risultato daranno le urne, egli non si dimetterà dal suo incarico.
Una situazione controversa, ma disciplinata dall’assetto costituzionale semipresidenziale: la costituzione della ‘quinta repubblica’ prevede l’elezione diretta del presidente della repubblica. L’elezione presidenziale è un momento diverso dalle elezioni legislative: il primo ministro è nominato dal presidente della repubblica sulla base degli equilibri parlamentari risultanti dalle elezioni legislative. Il momento elettorale francese si divide dunque in una fase presidenziale a suffragio universale diretto a doppio turno, e una fase legislativa, che elegge due camere: l’Assemblea nazionale e il senato. Il primo ministro è espressione della maggioranza che si forma all’Assemblea nazionale. Anche se il sistema politico francese è bicamerale, solo l’Assemblea nazionale è eletta a suffragio universale diretto, mentre il senato è eletto a suffragio indiretto: di conseguenza, solo l’Assemblea nazionale è espressione diretta del voto popolare e quindi solo essa può legittimare un primo ministro indicato subito dopo le votazioni legislative dal presidente della repubblica. Il primo ministro può non essere espressione della maggioranza al Senato e può anche essere di una corrente politica diversa del presidente della repubblica: in tal caso, si parla di coabitazione. Il primo ministro, condivide il potere esecutivo in materia estera e interna con il presidente della repubblica.
Stante quanto detto pocanzi, da luglio 2024 si potrebbe assistere ad un esecutivo di colore molto diverso rispetto ai recenti governi indicati da Macron e a lui prossimi, dando vita ad una reale situazione di coabitazione e condivisione delle istituzioni tra due fazioni totalmente in contrapposizione fra loro: non si tratta affatto di una prospettiva peregrina.
Il recente allineamento con il Rassemblement National del capo neogollista del Partito Repubblicano Eric Ciotti e la conseguente spaccatura in questo storico partito antifascista potrebbe sancire una posizione scomoda per il presidente della repubblica, sempre più solo in un contesto che già alle elezioni del 2022 lo aveva visto riconfermarsi a stento. Dopotutto, si potrebbe affermare che il successo del Rassemblement National non sia solo il frutto di un generico clima europeo in cui avanzano i conservatorismi nazionali, ma il frutto di scelte politiche fin troppo ‘parigine’ ed elitarie. Un punto a sfavore di Emmanuel Macron è sicuramente la costruzione della propria carriera politica principalmente nella capitale, tralasciando il ruolo cruciale di capo politico che si sappia muovere nella sfaccettata Francia rurale. Al contrario, Marine Le Pen fuori da Parigi gode della solidarietà e dell’appoggio di buona parte degli amministratori locali.
Questa fragilità territoriale di Macron si aggiunge alle ultime e impopolari dichiarazioni del presidente francese sulla guerra russo-ucraina, recepite da gran parte dell’opinione pubblica francese come troppo bellicose e pericolose per il clima internazionale che circonda l’Europa. Infine, la forte spinta conservatrice dei vicini (in primis l’Italia) ha portato inevitabilmente ad un risultato straordinariamente pericoloso per Emmanuel Macron, il quale con ogni probabilità non può dirsi certo né di condurre la Francia fino alla fine del suo mandato, né può dirsi certo che il suo richiamo alla responsabilità elettorale rispetti le sue aspettative.
Le elezioni francesi daranno un forte segnale rispetto alla volontà dei cittadini che risulta essere sempre più divisa tra coloro che sostengono l’Europa con Emmanuel Macron e coloro che invece inneggiano ad un maggior centralismo nazionale. Tale polarizzazione è, peraltro, alimentata costantemente dalla stampa transalpina. Al momento, i sondaggi non sorridono alle forze moderate francesi. La campagna elettorale si preannuncia raffazzonata e grossolana e i tempi limitati a disposizione non aiutano.
Rimane da chiedersi se la decisione del presidente Emmanuel Macron sia frutto di un reale senso di sconfitta per l’insuccesso elettorale delle europee o se sia invece una scommessa con se stesso. Marine Le Pen è consapevole dell’impopolarità del suo rivale politico e forse ora più che mai pensa di avere la sua grande occasione di rivalsa. Un esito a suo favore darebbe vita a due grandi paradossi. Il primo sarebbe la coabitazione tra un presidente e un primo ministro di sponde opposte: ciò potrebbe non fare altro che tramutare il semipresidenzialismo francese in una sorta di parlamentarismo forzato, in cui i poteri si contrappongono creando un netto disequilibrio politico. Il secondo paradosso portato da una vittoria lepenista è che la nuova situazione, letta in chiave europea, vedrebbe contrapporsi dall’alto il Partito Popolare Europeo, che nel parlamento europeo confermerebbe la sua storica leadership mantenendo inalterato lo status quo continentale, e, dal basso, un’Europa di governi nazionalisti via via meno conciliabili tra loro e pronti ad innalzare ulteriori barriere politiche contro l’attuazione pratica del federalismo europeo e contro la stessa nozione di unità europea.
(A cura di Daniele Avignone)