Il diritto all’Occidente – Occhi sulla Georgia

da | Mag 26, 2024 | Politica Internazionale

L’Occidente non è un dato di fatto. È una conquista. Ma negli ultimi tempi, pare che gli stessi occidentali se ne stiano dimenticando. Gli eventi contemporanei in giro per il mondo ci possono aiutare a realizzare quanto possiamo essere fortunati ad essere nati in questa parte del globo. Democrazia e libertà sono beni rari, difficili da reperire ed ancora di più da mantenere vivi e sani. Ma portano con loro ricchezza e benessere i quali, dobbiamo ammettere, ci pongono in uno stato di apatia rispetto al mondo; persino verso quelle che possono essere minacce esistenziali al nostro modello. La guerra in Ucraina, così come gli effetti di quella a Gaza, dovrebbe far risuonare nelle teste di chi vive nelle liberaldemocrazie un campanello d’allarme; al contrario, si nota una noia generalizzata, un disinteresse ad accorgersi agli sviluppi che ci circondano, che si traducono in alcuni casi a veri e propri eventi antagonisti facilmente cavalcabili da chi vorrebbe stravolgere il nostro stile di vita.

Per fare un esempio pratico, bisogna guardare alle ultime proteste avvenute in alcune università statunitensi, durante le quali diverse sedi istituzionali sono state occupate da gruppi studenteschi in protesta contro le operazioni di Israele. Nulla da obiettare sul loro diritto di manifestare ed esprimere liberamente appoggio e solidarietà alla popolazione palestinese; le modalità con le quali però sono avvenute queste manifestazioni (a partire dall’occupazione stessa), non solo non giovano alla causa, ma rischiano di polarizzare ulteriormente il dibattito intorno alla questione israelo-palestinese. Polarizzazione, di cui, non si ha decisamente bisogno.

Il modo in cui si prende questa situazione di pancia, con reazioni quasi istintive, ha portato ad una de-generalizzazione del dibattito, che si sposta su posizioni sempre più ideologiche e lontane dalla realtà. Vediamo come in Italia, in alcune università, si sfocia in episodi di ordinaria follia: nell’Università statale di Milano, gli attivisti di due gruppi studenteschi pro-Palestina sono arrivati alla zuffa; mentre nell’Università di Torino, l’occupazione messa in atto per lanciare l’”intifada studentesca”, ha promosso l’uso della jihad per bocca di un imam in un momento di preghiera.

Già qui, nasce una piccola ma fondamentale discrepanza con il sistema di valori che cerchiamo di proteggere, e che già di suo, soprattutto nel nostro Paese, è particolarmente minata: la laicità. La laicità delle istituzioni è, almeno in teoria, uno dei caratteri fondanti dello Stato moderno, ma sappiamo benissimo come nel Belpaese questo concetto sia sempre stato declinato in favore della Chiesa cattolica. La laicità, ricordiamolo, vale per tutti: non dovrebbero esserci gruppi religiosi privilegiati, né per motivi culturali (come nel caso del cattolicesimo) né per motivi politici (come nel caso dell’islamismo).

Chiusa questa lunga parentesi, che guarda più alla protezione dei valori ispiratori delle liberaldemocrazie, è opportuno guadare con ancora più forza e convinzione alla promozione degli stessi, soprattutto lì dove ci sono le condizioni e gli spazi per una presa di posizione netta, decisa e decisiva. Lo sguardo potrebbe cadere su tantissime realtà – Taiwan, i paesi dell’ASEAN, la stessa Israele (la cui democraticità oggi pare, in alcuni momenti, in bilico), per certi versi la Turchia o ancora l’Ucraina – ma oggi emerge più di tutte un piccolo Paese, da noi percepito lontano ma in realtà molto più vicino di quanto possa sembrare: la Georgia.

La Georgia è un piccolo Stato incastonato nel Caucaso, la cui popolazione non supera i quattro milioni di abitanti. La sua locazione, a cavallo tra Russia e Turchia, l’ha sempre posta in una posizione difficile rispetto ai due “giganti” vicini, le cui politiche imperiali ed imperialiste l’hanno relegata ad un ruolo di pedina, terreno di scontro od oggetto di scambio per i rapporti di forza sul Mar Nero. Guardando alla storia recente, la Georgia è stata una delle repubbliche federate all’interno dell’Unione Sovietica, dalla quale ha ottenuto l’indipendenza nel 1991, insieme a tutti gli altri Stati che hanno partecipato alla dissoluzione dell’URSS. Ma difficilmente si può affermare che la Georgia inizi qui il suo processo di vera e propria indipendenza.

Nel 1991 Gamsakhurdia fu eletto presidente e pochi mesi dopo intense proteste portarono alla fuga dello stesso ed all’insediamento di Shevardnadze. Due anni dopo, i primi scontri si accesero con le future regioni separatiste di Abcasia e Ossezia del Sud, sostenute da forze paramilitari russe, lì presenti dalla caduta dell’URSS. Parlando di Russia, Mosca mantenne una importante influenza verso il Paese, dovuta soprattutto agli intensi scambi economici: di fatto, quasi tutto l’export georgiano era destinato ad andare nei mercati russi. Quando la crisi economica colpì la Russia, l’interscambio tra i due paesi diminuì drasticamente, facendo piombare Tblisi in uno stato economico disastroso.

Shevardnadze attuò una furba politica di bilanciamento dei rapporti nella regione, iniziando un progressivo avvicinamento agli Stati Uniti, dovuto soprattutto a necessità economiche e al bisogno di trovare una sponda a cui appoggiarsi per via dell’aumento delle tensioni con la Russia, che accusava Tblisi di appoggiare la Cecenia ribelle. Da qui inizia il progressivo avvicinamento della Georgia all’Occidente, che sfocerà con pubbliche dichiarazioni da parte del Governo, che esprimevano la volontà di far aderire alla NATO e all’Unione Europea.

Il politico venne destituito dalla Rivoluzione delle Rose accusato di aver vinto le elezioni del 2003 per mezzo di brogli, evento che portò al potere Saakashvili, il più importante capo dell’opposizione georgiana, supportato e finanziato da diverse organizzazioni pro-democrazie, dentro e fuori la Georgia. Da lì, il Paese si impegnerà nella ricostruzione economica dello Stato, grazie a cooperazioni con la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e persino l’Unione Europea, la quale impose come condizione per l’invio di aiuti economici l’avvio alla lotta alla corruzione ed un percorso di democratizzazione, finora ancora piuttosto debole.

Da lì a pochi anni, arriverà la guerra del 2008: in pochissimi giorni, la Russia varcò i confini georgiani con la scusa di difendere le minoranze di Abcasia e Ossezia del Sud, due regioni al confine che si autoproclamarono indipendenti da Tbilisi (copione ripetuto anche in Ucraina). La situazione rimase cristallizzata, e vede ancora oggi le due regioni formalmente indipendenti, riconosciute e protette da Mosca.

Ma perché oggi le cronache di questo Paese sono tornate a farsi sentire? Tutto dipende da quella che è stata definita come “legge russa” sugli agenti stranieri, facendo riferimento all’incredibile somiglianza tra questa e l’omologo testo adottato dalla Duma di Mosca. La carta vuole normare i finanziamenti che organi di informazione e organizzazioni non governative (ma in generale, chiunque riceva finanziamenti stranieri): qualunque ente che riceva più del 20% dei propri fondi da “agenti stranieri” verrebbe bollato come “organizzazione portatrice di interessi di potenze straniere”. Ciò imporrebbe agli enti così indicati di rispettare tutta una serie di obblighi non conformi alla semplice rendicontazione e chiarezza del bilancio (aspetto già normato da una legge vigente), quanto piuttosto relative agli obiettivi stessi che si prefigurano di promuovere nel Paese.

La discordia nasce non tanto intorno all’idea in sé di creare una legge che certifichi i finanziamenti di ONG e organi d’informazione – leggi che, va fatto presente, esistono in tutto l’Occidente con lo scopo di normale il lobbying; il problema sorge piuttosto sull’obiettivo dichiarato dallo stesso partito di maggioranza, Sogno Georgiano, il quale ha affermato attraverso diversi esponenti che la legge è necessaria per impedire <<la propaganda LGBTQ e le ideologie estremiste dell’Occidente>> e per <<colpire chiunque offenda la polizia, la magistratura e la Chiesa ortodossa della Georgia>>.

È evidente che l’obiettivo della legge e del suo primo propugnatore sia quello di allontanare la Georgia dal suo sogno europeista ed atlantista, per riportare il paese nell’orbita russa. La legge è già arrivata alla sua terza lettura, ricevendo l’approvazione del Parlamento in tutte le occasioni, ma ha ricevuto il veto della presidente Zourabichvili (purtroppo aggirabile da una ipotetica quarta votazione del Parlamento, cha ha i numeri per superare l’opposizione della presidente). I georgiani non hanno mancato di dimostrare la loro contrarietà alla legge, scendendo in piazza per diverse settimane di fila. Secondo recenti sondaggi, circa l’80% della popolazione è contraria all’adozione di questa legge. A ottobre si terranno elezioni nel Paese e questa legge rischia di influenzare pesantemente il voto.

Dalla Russia, Peskov ha dato la propria benedizione e quella del Cremlino al governo filorusso di Tbilisi, affermando che i moti di protesta sono fomentati dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, desiderosi di diffondere sentimenti russo-fobici nel Paese. Le dichiarazioni da parte russa fanno spaventosamente eco agli stessi concetti formulati all’inizio della guerra in Ucraina: lì dove Mosca non trova servi, trova russofobi; un po’ come la volpe e l’uva.

L’Occidente, e l’Europa più di tutti, devono farsi carico del sogno europeo ed atlantista della Georgia. Il paese ha più volte dimostrato la sua volontà di unirsi all’altra sponda del Mar Nero, e non è accettabile lasciare che le loro voci e le loro richieste vengano lasciate cadere nel vuoto. La libertà e la democrazia sono beni rari ed inestimabili. Crescono lentamente e con fatica. I georgiani hanno lottato abbastanza per la loro autodeterminazione ed indipendenza. Non ripetiamo lo stesso errore commesso in Ucraina. Supportiamo la Georgia e lasciamo che il mondo libero lo sappia.

Si sappia che l’Occidente può e vuole difendere i propri valori.

(A cura di Gabriele De Fazio)