È passata ormai oltre una settimana dalla “vittoria” del dittatore Maduro nelle ultime elezioni venezuelane. Gli exit poll davano la vittoria con il sessantacinque per cento all’ambasciatore Edmundo Gonzalez Urrutia del partito Mesa de la Unidad Democrática (Tavolo dell’Unità Democratica, d’ora in poi Unità Nazionale), d’ispirazione democristiana e centrista. Invece la realtà di un regime corrotto e inaffidabile ha presentato il conto: Nicolás Maduro ha vinto.
Le forze di sicurezza su ordine del leader hanno già catturato centinaia di contestatori. Il prosieguo dei “pattugliamenti militari e della polizia” in tutto il paese fa presagire ragionevolmente che il numero degli arresti nei prossimi giorni si accrescerà.
Al grido di «libertà!» questi coraggiosi manifestanti hanno accolto come una star la leader del partito di centro-destra Vente Venezuela, María Corina Machado: una liberale classica, vera anima dell’opposizione al regime chavista. La sua candidatura è impossibile perché il governo venezuelano l’ha interdetta dai pubblici uffici per quindici anni. Per questo l’attuale leader dell’opposizione Urrutia è subentrato a Marìa Corina per dare all’opposizione un volto candidabile, ma dietro i movimenti di opposizione a Maduro c’è lei: una donna liberale.
In Venezuela si vota elettronicamente: le urne sono controllate dall’esercito di Maduro e hanno dei terminali dai quali i cittadini si identificano ed esprimono poi il loro voto. Nel 2022, la multinazionale appaltatrice del sistema di voto elettronico, Smartmatic, chiese circa un miliardo e mezzo di dollari al Venezuela come risarcimento per “una frode” avvenuta il 2017. Secondo l’azienda, le votazioni del 2017 (cui parteciparono 8,1 milioni di elettori) sarebbero state manipolate, provocando una variazione che potrebbe superare il milione di voti.
È dunque lecito pensare che anche stavolta il regime chavista si sia salvato manipolando le elezioni, com’è tipico di ogni regime autoritario. Infatti, non ha tardato a farsi sentire l’opposizione venezuelana, che dichiara di avere le prove dei brogli e chiede al governo di Maduro di permettere un’indagine internazionale sullo svolgimento delle elezioni.
Nicaragua, Cuba, Bolivia e Honduras sono gli unici governi dell’America Latina che si sono subito congratulati con Maduro per la “storica vittoria”: non a caso si tratta di autoritarismi di sinistra. Il presidente russo Putin ha espresso la sua volontà di continuare a collaborare strategicamente con il governo venezuelano e ha anche aggiunto: «Sono convinto che la sua attività come capo dello Stato continuerà a contribuire al suo progressivo sviluppo in tutti i settori. Ciò risponde pienamente agli interessi dei nostri popoli amici ed è in linea con la costruzione di un ordine mondiale più giusto e democratico». Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Lin Jian ha ricordato che Cina e Venezuela sono «buoni amici e partner che si sostengono a vicenda». Anche l’Iran con le sue dichiarazioni fa abbastanza sorridere: «La Repubblica Islamica dell’Iran rinnova il suo sostegno e la sua solidarietà alla Repubblica Bolivariana del Venezuela per portare avanti i suoi programmi di sviluppo nazionale e rafforzare la cooperazione bilaterale».
Mentre i regimi autoritari si congratulano con Maduro per la discutibile vittoria elettorale in Venezuela, l’Argentina di Javier Milei va controcorrente e riconosce pubblicamente la vittoria dell’oppositore Edmundo Gonzalez Urrutia. L’annuncio è venuto dall’economista e ministra degli esteri Diana Mondino, che ha twittato: «Dopo diversi giorni di pubblicazione dei documenti elettorali ufficiali del Venezuela su resultadosconvzla.com, tutti possiamo confermare, senza dubbio, che il legittimo vincitore e presidente eletto è Edmundo González». Secondo il sito, infatti, Edmundo Gonzàlez avrebbe vinto con il sessantasette per cento dei voti contro il trenta per cento di Maduro. Di certo non la prima mossa audace del leonino presidente libertario Milei: due settimane fa l’Argentina ha incluso Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche e ha ordinato il congelamento dei beni finanziari dell’organizzazione in Argentina.
Un po’ meno audace finora è stata l’Europa, che tuttavia si è dichiarata “preoccupata” per gli esiti delle elezioni e ha richiesto di rendere disponibili i registri elettorali per effettuare le dovute indagini. Positivo che l’iniziativa sia partita dal comune accordo di Francia e Italia: un bel passo avanti rispetto all’imbarazzante timidezza che l’Italia del governo giallo-rosso ebbe nel 2020, quando Conte rimase in silenzio mentre tutt’Europa esprimeva le stesse preoccupazioni di oggi per poca trasparenza nella sospetta sconfitta elettorale dell’allora capo dell’opposizione Guaidò. Non resta che rimanere in ascolto e sperare in un’Europa unita in una politica estera di severa condanna di tutti i regimi autoritari.
(A cura di Aurora Pezzuto)