Extra Omnes

da | Mag 7, 2025 | Politica Internazionale

“Io sono il ministro degli esteri della Santa Sede in servizio permanente effettivo” pare amasse ripetere il Divo Giulio Andreotti. Basterebbe questo per rendere un’idea dell’importanza del Conclave e del suo impatto sulla politica italiana, piaccia o no. Nonostante i tempi siano cambiati, la Chiesa esercita tuttora un’influenza non trascurabile sugli affari interni del nostro Paese. Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del consiglio di Giorgia Meloni, il vertice dell’amministrazione esecutiva dello Stato, è legato a doppio filo alle gerarchie vaticane, come illustrato da Luigi Bisignani nel suo libro I potenti al tempo di Giorgia. E’ stato grazie al suo lavoro di tessitura con il Segretario di Stato vaticano uscente e con il presidente della CEI in carica se la premier e il defunto Papa Francesco avevano sviluppato un ottimo rapporto personale, al di là delle divergenze di vedute. La Chiesa cattolica è tuttora la più grande organizzazione al mondo, alla luce del miliardo e mezzo di battezzati sparsi nei cinque continenti.

Papa Francesco è deceduto il lunedì di Pasquetta, 21 aprile 2025. I funerali di una personalità tanto amata, criticata, dal trascinamento fuori dal comune hanno attirato a Roma centinaia di migliaia di persone e hanno registrato momenti destinati a rimanere scolpiti nella memoria collettiva. Spicca la foto di Trump e Zelensky intenti a discutere – si spera per il bene dell’Ucraina e per la risoluzione di questa invasione lasciando il Paese aggredito in una posizione di forza – nella cornice eterna di San Pietro che da secoli vede sfilare sovrani, imperatori, regnanti e presidenti da ogni angolo del mondo. Da quel momento la Chiesa è sub clave. Gli appartamenti pontifici sono stati sigillati in attesa del nuovo successor Petri. Da qui, e dalle considerazioni di numerosi autorevoli osservatori, è il caso di ripartire. Che profilo dobbiamo augurarci, da liberali? E’ preferibile una continuità o rottura rispetto a Jorge Mario Bergoglio? A parere di chi scrive, è necessario analizzare le seguenti dimensioni: profilo pastorale, posizione su temi chiave, collocazione geopolitica, ruolo della Chiesa nella società.

Innanzitutto, il nuovo Papa dovrà essere un pastore, come è stato Papa Francesco. Non un austero accademico, non un diplomatico. Lo stile pastorale, l’indole umile ed empatica di Bergoglio e la sua conseguente presa sulle masse hanno condotto a risultati notevoli. In Francia, un Paese da sempre fortemente laico, negli ultimi anni si è registrato un record nel numero di battezzati, e nel Regno Unito la popolazione cattolica potrebbe superare quella anglicana. Su questa strada bisogna proseguire. Solo un Papa con uno stile pastorale può ispirare una vicinanza all’individuo e alle sue specificità, al di là dei dogmi che la Chiesa porta con sé.

In secondo luogo, da liberali, per definizione di indole laica, riteniamo sia necessario un Papa che valorizzi la libera espressione dell’individualità, in grado di adattare i dogmi della Chiesa ai tempi e ai cambiamenti in atto nella società. Francesco è stato un Papa sì innovatore, ma non “progressista”. Non entreremo nel merito delle accuse di eresia indirizzate da alcuni esponenti cattolici a Francesco, reo di comunicare in maniera confusa e incoerente dal punto di vista dottrinale. Le posizioni formali della Chiesa su celibato sacerdotale, matrimoni omosessuali, uso degli anticoncezionali e aborto sono invariate. Certamente Papa Francesco ha smorzato i toni nei confronti delle persone LGBT+, al di là delle indiscrezioni sulla “frociaggine” che ci hanno fatto divertire, sulla comunione ai divorziati, come già aveva fatto durante il suo sacerdozio in Argentina, e sulla contraccezione, criticando l’enciclica Humanae Vitae di Benedetto XVI. Ma l’impianto canonico dopo dodici anni di pontificato, una durata superiore alla media, non è stato toccato. E la sua non disponibilità a benedire le unioni gay è stata più volte ribadita. Da questi punti di vista auspichiamo un pontificato che effettui aperture, a cominciare da contraccezione e comunione ai divorziati, in cui l’individuo e la sua libera espressione siano punti di riferimento saldi.

Veniamo ora alla politica internazionale. Su questo, a parere di chi scrive, è auspicabile una posizione più solida rispetto a quella tenuta da Papa Francesco. Quest’ultimo ha innovato la collocazione politica della Chiesa, staccandola dagli Stati Uniti dopo settant’anni di forte contiguità, traghettandola nel mondo multipolare (si veda l’accordo con la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei vescovi in loco da parte di Pechino e non del Vaticano), cosa che gli ha attirato numerose critiche, in alcuni casi fondate. Nello scenario attuale, pur dovendosi muovere tra i tre poli NATO, Russia-Cina e Paesi BRICS+, e dialogo interreligioso (non dimentichiamoci che il Pontifex è il “costruttore di ponti”), è importante che il papato rimanga entro il solco occidentale. Il rischio è che per antipatia al trumpismo si voltino le spalle a dei principi inscalfibili. Nonostante il peso dogmatico che la Chiesa porta con sé, è infatti importante precisare che senza il cristianesimo (si badi, non il cattolicesimo) non sarebbe esistito il liberalismo come lo intendiamo oggi. Perché il libero arbitrio è uno dei pilastri della dottrina cristiana e prevede anche che il singolo possa diventare ateo o agnostico se lo ritiene. La libertà, genericamente definibile come la proprietà privata applicata all’individuo, e la tutela del singolo sono una conseguenza diretta dell’importanza della vita umana, ideologicamente scolpita nel fatto che l’uomo è immagine e somiglianza di Dio. Per questo motivo, in Occidente, a differenza di altre zone del mondo, si è diffusa la concezione per cui ogni singola vita abbia un valore indefinitamente grande, con impatti positivi a livello di attenzione al singolo e al suo benessere quotidiano. L’altro pilastro della cultura occidentale è il metodo scientifico, figlio della modellizzazione derivante da Platone, che ha portato alla industrial revolution e infine alla Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith. Scozzese e quindi non cattolico. Perché secondo l’etica protestante l’ottenimento di ricchezza e successi tramite il lavoro è un mezzo per glorificare Dio, rispetto all’esaltazione della povertà e della provvidenza tipiche del cattolicesimo. E’ anche per questa ragione che il liberalismo classico e market-oriented è nato nel mondo anglosassone e non in quello latino. E ha portato ricchezza e prosperità a livelli non paragonabili a nessun’altra parte del mondo. Il nuovo Papa dovrà essere solido su questi principi. Cosa che Papa Francesco non sempre è stato. La critica alla NATO per aver “abbaiato ai confini della Russia”, in merito all’invasione dell’Ucraina, oltre a essere un errore di merito storico, è una posa che come liberali non possiamo che condannare. Se è comprensibile un allentamento dei legami con gli Stati Uniti (che pure rimangono i principali finanziatori della Chiesa cattolica in termini di flussi monetari) per via della loro attuale amministrazione e di altre possibili presidenze targate MAGA, una ambiguità su Cina, Russia e altri regimi autocratici sempre più assertivi non lo è. Il rischio degli accordi con la Cina è proprio quello di assoggettarsi a un regime illiberale per eccellenza. La cura per le periferie e per gli ultimi non può diventare una venerazione del pauperismo e non può prescindere da un fermo ancoraggio a quello che è l’unico sistema che ha saputo sollevare dalla povertà miliardi di persone. L’economia di mercato. L’adesione ai principi della liberaldemocrazia deve essere totale. Per questa ragione, il nuovo Papa dovrà essere fermo e sicuro nel sostenere le liberaldemocrazie e i modelli di mercato, con una ovvia attenzione agli ammortizzatori sociali, quale migliore forma di società in grado di assicurare benessere e felicità all’individuo.

Ruolo della Chiesa: sarebbe auspicabile un approccio maggiormente decentralizzato rispetto al centralismo bergogliano. Al di là delle pratiche sulla sinodalità, Francesco ha varato 56 atti motu proprio, assimilabili a ordini esecutivi del Papa, in dodici anni di pontificato, rispetto ai 17 di Ratzinger e i 25 di Karol Wojtyla, che è rimasto al soglio di Pietro per ventisette anni. Francesco ha sempre mostrato una relativa chiusura alle varie organizzazioni cattoliche, da Comunione e Liberazione ai Legionari di Cristo, utili per l’apertura al mondo laico. Inoltre, se è vero che egli ha cercato di globalizzare la Chiesa, questo è stato fatto mediante un approccio top-down con la nomina di cardinali in zone del mondo pressoché scoperte, ribaltando la logica del cardinalato, tradizionalmente concesso come riconoscimento di una Chiesa che cresce in una certa zona o per meriti teologici. Da un lato questa mossa è stata utile per avere rappresentanti che dialogassero con i vertici politici locali, dall’altro ha portato all’effetto collaterale per cui la Mongolia, che vanta circa mille battezzati, è rappresentata in Conclave, a differenza della diocesi più grande del mondo: Milano. Se è legittimo che il Papa cerchi di diffondere il messaggio cattolico ai quattro angoli del globo e presso il global south, questo dovrebbe essere fatto in maniera bottom-up valorizzando l’espressione e l’autodeterminazione delle comunità locali, che liberamente scelgano il proprio credo religioso, che passi da un maggiore ruolo dei missionari in loco, anziché da cariche politiche nominate centralmente.

Potrebbe sembrare che le auspicate doti di pastore carismatico aderente ai valori occidentali conducano a un profilo simil Giovanni Paolo II. Così non è. Un conservatorismo di quello stampo ad oggi non sarebbe più accettabile, soprattutto dalle comunità giovanili che hanno indirizzato una lettera al collegio cardinalizio chiedendo una maggiore apertura da parte della Chiesa. Anche i loro occhi saranno puntati sul comignolo allestito in cima alla Cappella Sistina, per il Conclave più social della storia. Vale la pena ascoltare la loro voce. Come Giovani Liberali dobbiamo ribadire che, al netto delle sensibilità di ciascuno e alla luce della persistente presa della Chiesa sull’opinione pubblica nostrana, i tempi impongono un pastore energico, empatico, dallo stile comunicativo incisivo, aperto alle novità e alle tendenze future, ma attento ai principi che garantiscono benessere nella società e felicità all’individuo. L’era della gravitas e del dogmatismo è al tramonto. Non deve iniziare quella del pauperismo e dell’ambiguità. Extra omnes.

(A cura di Riccardo Ferri)