«L’intera storia del progresso umano è stata una serie di transizioni attraverso cui un costume o un’istituzione dopo l’altra sono passate dall’essere presunte necessarie all’esistenza sociale nel rango di ingiustizie universalmente condannate».
J.S.Mill.
Trasformare radicalmente il carcere non è un’utopia.
Molti pensano che l’unica soluzione per risolvere il problema sicurezza sia il carcere. Invece, i dati dimostrano il contrario: nel 1970 venivano denunciati oltre un milione e duecentomila reati e le carceri avevano venticinquemila detenuti. Oggi, a fronte di ben oltre due milioni di reati denunciati, la popolazione carceraria ammonta a più di cinquantamila persone.
Studi e operatori del settore indicano che solo il dieci per cento dei detenuti è pericoloso, mentre per gli altri potrebbero aver luogo misure alternative. Difatti, la recidiva per chi sconta la pena in una casa circondariale è del settanta per cento: negli altri casi la recidiva è solo del venti per cento.
Stando così le cose, si potrebbe ben dire che le carceri patrie stiano assomigliando sempre più ai vecchi manicomi: peraltro, la sacrosanta abolizione degli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) è incompiuta e i posti di cura disponibili nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) sono ancora ampiamente sotto gli obbiettivi iniziali.
Nelle strutture penitenziarie italiane circa un decimo dei detenuti assume farmaci antidepressivi e concernenti la cura delle malattie psichiatriche e psicologiche. Tuttavia, a causa della cattiva gestione di tali persone, la situazione peggiora anche per gli altri detenuti. Secondo l’associazione Antigone, nel 2022 il quaranta per cento dei detenuti ha vissuto una condizione di problematicità riguardo la salute mentale, con la drammatica conseguenza dell’aumento dei casi di suicidio ogni anno.
A tutto ciò va aggiunto che le carceri italiane sono state spesso teatro di fenomeni di intimidazione, minaccia e violenza fisica da parte degli altri detenuti e dello stesso personale dei penitenziari. In quest’articolo non si vuole dipingere la polizia penitenziaria come aguzzina: gli stessi agenti sono vittime del clima disumano del carcere e registrano un tasso di suicidi doppio rispetto al resto della popolazione italiana. Tuttavia, il problema della violenza verso i detenuti non va nascosto e infatti esso spinge i detenuti a entrare nella criminalità organizzata per ottenere protezione tra le mura delle prigioni italiane.
Tra i modi per ridurre la popolazione carceraria, uno potrebbe essere la legalizzazione della vendita della cannabis, dato che moltissimi detenuti sono agli arresti per attività di piccolo spaccio. Una soluzione forse ancor più impattante sui problemi del sistema detentivo italiano potrebbe essere data dall’introduzione nel nostro paese del modello carcerario norvegese.
Il carcere di Halden è un carcere di massima sicurezza, ma è anche il più “umano” del mondo. Come ha detto il suo direttore: “I detenuti perdono la libertà ma non i diritti umani”. Al suo interno i detenuti dispongono di una cella singola a cui devono fare ritorno alle otto di sera. Ricevono sette corone norvegesi al giorno e condividono la mensa con le guardie. Le possibili tensioni vengono risolte dai poliziotti o dai cappellani: tale meccanismo è così funzionante nel responsabilizzare i singoli detenuti che tali tensioni avvengono solo nel reparto di massima sicurezza. Ultima cosa, ma non meno importante: ad ogni detenuto viene garantito un corso professionale ed una casa prima della fine del suo periodo correttivo.
Sono state nominate le carceri di massima sicurezza: l’occasione è quindi perfetta per discutere l’ipotesi di abolire l’articolo 41bis della legge 663 del 1986. Tale legge riserva, a parere di chi scrive, un trattamento inumano, degradante e annichilente della dignità umana. Anche i peggiori criminali, che sono quelli sottoposti a questo regime carcerario duro, hanno diritto a che i loro diritti fondamentali vengano tutelati: il regime carcerario di 41bis priva i detenuti di qualunque stimolo proveniente da libri, giornali, musica o sessualità. Il cosiddetto carcere duro comporta per i detenuti che vi sono sottoposti anche grossi problemi di salute: emblematico il caso del fondatore della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo. Pur essendo quest’ultimo uno dei peggiori malviventi della storia d’Italia, non meritava nel 1987 di versare in precarie condizioni nel carcere di massima sicurezza dell’Asinara, in Sardegna.
C’è da chiedersi se un paese civile possa abbassarsi a questo livello: le mafie e il terrorismo vanno sicuramente perseguiti e prevenuti con tutti gli strumenti, a patto però che i diritti umani vengano rispettati. Forse queste sono parole al vento in un paese nel quale il quarantatré per cento dei cittadini vorrebbe la reintroduzione della pena di morte. Tuttavia, è imperativo dei liberali battersi per fare dell’Italia una nazione civile.
(A cura di Federico Mancuso)