LIMITI, ANCHE COSTITUZIONALI, DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

da | Apr 4, 2024 | Giustizia e Riforme

L’autonomia differenziata è l’attribuzione da parte dello Stato alle regioni a statuto ordinario, che ne abbiano fatto richiesta, di autonomia legislativa sulle materie di competenza concorrente e su alcune materie di competenza esclusiva dello Stato stesso. Insieme alle competenze, le regioni potrebbero trattenere anche il gettito fiscale che non sarebbe più ridistribuito su base nazionale a seconda delle specifiche necessità.

Una volta approvata, quindi, la Legge Calderoli, le regioni potranno immediatamente presentare le richieste di attribuzione di nuove funzioni, anche se limitatamente alle materie meno sensibili sul piano dei diritti civili e sociali, ossia alle cosiddette “ materie non-LEP, tra cui spiccano la protezione civile, la previdenza complementare ed integrativa, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Per le altre funzioni, come l’istruzione, la tutela dell’ambiente, i trasporti, ossia le funzioni per le quali  è previsto la preventiva determinazione dei LEP ( livelli essenziali di prestazione), le regioni dovranno attendere successivi atti normativi con i quali si riconoscano i LEP e si valutino le risorse finanziarie necessarie per la loro attuazione nei singoli territori regionali.

Il disegno di legge Calderoli, così come formulato, non solo potrebbe avere conseguenze disastrose sull’intero paese, andando ad aumentare le disuguaglianze tra le regioni settentrionali e quelle meridionali, ma contiene diversi profili di conflitto con le nostre norme costituzionali.

In primo luogo, occorre chiarire che l’art. 116, terzo comma della nostra carta costituzionale prevede un numero ampio di funzioni pubbliche che oggi sono esercitate dallo Stato, ma che potrebbero essere decentrabili su richiesta delle regioni. Ad eccezione della previdenza sociale, della difesa e dell’ordine pubblico, tutta la spesa pubblica potrebbe essere decentrata alle regioni:  la frammentazione delle competenze derivante da un consistente decentramento produrrebbe gravissime inefficienze economiche, sottraendo ingenti risorse alla collettività nazionale e provocando una disarticolazione di servizi che dovrebbero, di contro, per il loro ruolo nel corretto funzionamento del nostro sistema sociale ed economico, avere una struttura ed una organizzazione unitaria.

Non oso immaginare la difficoltà delle scelte delle imprese che operano su scala sovraregionale e che dovrebbero confrontarsi con politiche regolamentari differenti sul territorio nazionale.

Non oso immaginare le conseguenze economiche di un sistema che preveda l’assegnazione del reddito a quella regione in cui il contribuente risiede e non a quella in cui il contribuente matura il proprio reddito.

Non oso immaginare l’organizzazione di un sistema sanitario che non potrebbe prevedere, per esempio, la prescrizione e l’acquisto di medicine da parte di cittadini che, pur risiedendo formalmente in una regione, si trovino, per diversi motivi, a vivere temporaneamente in altre.

Non oso immaginare gli sfasci di un sistema scolastico affidato alle diverse disponibilità e scelte locali: le disuguaglianze sociali si aggraverebbero con un conseguente aumento della già esistente ingiusta differenziazione delle risorse educative pubbliche sul territorio dello stato italiano.

Oltre alle conseguenze sociali ed economiche del disegno di Legge Calderoli, non vi è chi non veda come alcuni punti dello stesso siano palesemente in contrasto con la nostra carta costituzionale.

L’elenco sarebbe lungo per cui è opportuno limitarsi al più importante.

 L’art. 5 della Costituzione recita testualmente: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento». Questo principio individua il decentramento di competenze e funzioni a livello locale, come una caratteristica di uno stato democratico, in grado di sollecitare l’esercizio della democrazia anche in ambito locale. Prima del principio espresso dall’art. 5, i padri costituenti hanno però  disposto che “ la Repubblica è una e indivisibile”. L’unità e l’indivisibilità della Repubblica non significano solo un’integrazione normativa tra i vari livelli di governo centrale e locali, ma vogliono significare  soprattutto una unità di valori e di principi condivisi al fine  di evitare tentativi derive autonomiste. I padri costituenti volevano un’Italia non solo unita per territorio, ma anche coesa dal punto di vista dei valori politici e dei  vincoli di solidarietà. Il concetto di indivisibilità della Repubblica significa che la stessa è inscindibile, con il conseguente rifiuto di ogni separazione territoriale e di ogni indipendentismo o federalismo regionale.

Quindi, appare ovvio che, se è vero che  la Costituzione favorisce le autonomie e il decentramento amministrativo, è altrettanto vero che la condizione è che sia salvaguardata l’unità politica e amministrativa del nostro Paese. Unità politica e amministrativa che il disegno di Legge CALDEROLI viola in maniera non accettabile.

(A cura dell’avv. Pietro Ruggi – Presidente del Liberal Forum)