L’atomo: indipendenza e sostenibilità

da | Dic 21, 2023 | Energia e Ambiente

Il tema del cambiamento climatico, assieme alle relative fonti di energia da utilizzare per arginarlo, è diventato un trending topic in tutte le principali agende politiche. La COP28, di recente conclusasi, sancisce un accordo che segna “l’inizio della fine” dell’era dei combustibili fossili, andando verso una transizione rapida, giusta ed equa, sostenuta da profondi tagli alle emissioni e da maggiori finanziamenti. E, per la prima volta, nel testo finale si parla esplicitamente di energia nucleare come uno dei metodi per la transizione. Ebbene, la lotta al cambiamento climatico da battaglia strettamente affine al mondo ambientalista si è trasformata in una sfida all’indipendenza (o alla riduzione della dipendenza) energetica, una corsa alla de-carbonizzazione e alla sostituzione degli idrocarburi con energia elettrica proveniente dalle fonti più disparate. Questa prevedibile quanto repentina inversione di tendenza è stata accelerata dagli eventi che negli ultimi anni stanno scuotendo l’Occidente, ed in particolare l’Europa, che si vede minacciata da guerre imprevedibili nel proprio cortile con conseguente perdita di approvvigionamenti di gas e materie prime a buon mercato che hanno, nei mesi scorsi, fatto schizzare il costo dell’energia alle stelle.

Tuttavia, già da anni la sensibilità verso un utilizzo di fonti alternative per la produzione di energia elettrica pulita è forte. Nel corso degli ultimi venti anni, infatti, si sono fatte largo ideologie che contemplavano tetti ricoperti di pannelli solari e autostrade solcate da silenziose auto elettriche. Un crescente numero di attivisti ha iniziato a sostenere che i governanti di tutto il mondo avrebbero dovuto sussidiare fortemente in direzione delle fonti rinnovabili e che l’unico ostacolo alla realizzazione di un futuro “green” fosse di carattere politico. Si, perché secondo numerose fonti, tra cui la stessa OCSE, investire in energia pulita avrebbe generato milioni di posti di lavoro in un settore all’avanguardia e dal futuro roseo, che avrebbe garantito la formazione di nuove figure professionali indispensabili per il “domani”.

La realtà però ha smentito questa tesi. Negli Stati Uniti d’America, dove tra il 2009 e il 2015 sono stati stanziati circa 150 miliardi di dollari per progetti riguardanti le rinnovabili, si sono potuti constatare i seguenti fatti. L’elettricità prodotta dai pannelli solari installati sui tetti delle abitazioni costa circa il doppio di quella prodotta dalle cosiddette “Solar Farms”. Le “Solar Farms” necessitano di un’enorme disponibilità di terreno su cui installare pannelli e/o turbine eoliche, oltre a km di collegamenti elettrici per collegare queste “fabbriche” di elettricità alle città più vicine, andando spesso incontro a malcontenti e opposizioni da parte delle comunità locali preoccupate per il depauperamento dell’ambiente e per la distruzione e l’allontanamento della fauna. Le energie rinnovabili, così come le conosciamo, sono intermittenti, producono cioè energia quando possono ricavarne dal sole e/o dal vento. Circa il 10-30% del tempo totale in un anno. Il capacity factor dei pannelli solari, inteso come percentuale di energia prodotta rispetto alla quantità massima producibile, è pari in media al 18%, con punte massime del 25%, contro l’93% dei reattori nucleari, che risultano essere molto più efficienti.

Risulta evidente che non è possibile soddisfare il fabbisogno energetico sfruttando le sole energie rinnovabili. Va inoltre considerato che il costo legato all’utilizzo di energia da fonti rinnovabili, empiricamente, tende ad aumentare, come testimoniato dall’andamento dei prezzi per KW/h (kilowattora) della Germania, leader mondiale nell’utilizzo massivo di energia green, il cui costo di un KW/h è passato dai 19,5 centesimi di Euro del 2006 ai 29,4 del 2018, un incremento del 50% circa, verificatosi in corrispondenza di un arco temporale in cui l’utilizzo di fonti rinnovabili è andato diffondendosi sempre di più nel Paese.

Quindi quale strada intraprendere per liberarsi dal giogo degli idrocarburi e delle democrature che rimpinguano le casse statali con la loro vendita? La risposta è atomica. Nel senso di energia atomica, proprio quella che per ben due volte in Italia (1987 prima e 2011) è stata boicottata e bloccata. Il nostro Paese è l’unico del G8 a non possedere un proprio impianto di produzione nucleare, sebbene consumi un 6% circa di energia prodotta dall’atomo che viene importata, risultando il secondo importatore netto di energia elettrica al mondo.

I primi passi verso una libertà energetica, a beneficio di ambiente e tasche dei cittadini, vedrebbe la conversione delle centrali che attualmente utilizzano combustibili fossili in SMR (Small Modular Reactors, piccoli reattori modulari) capaci di sviluppare potenze che vanno dai 10 ai 300Mwe (potenza pari a quella di una centrale a carbone) e la cui maggior parte potrebbe essere collegata prontamente alla rete elettrica. Il risparmio che si andrebbe a concretizzare sta nel fatto che si utilizzerebbe una porzione di territorio occupato di gran lunga minore rispetto all’impianto principale, ci sarebbe la possibilità di usufruire di una fonte d’acqua e di potersi collegare agevolmente con la rete ferroviaria e stradale. Gli impianti di più modesta dimensione, cioè quelli da 10MWe in su, potrebbero essere utilizzati come co-generatori per la produzione di idrogeno, per l’alimentazione di data center ecc. Inoltre, l’immediata disponibilità di operatori già qualificati nel funzionamento e manutenzione non avrebbero difficoltà insormontabili nel passaggio da un centrale a combustibili fossili ad un SMR e l’energia elettrica verrebbe erogata costantemente per 24 ore al giorno.

La vera sfida consiste nel mettere sul piatto quanto prima possibile delle strategie da perseguire in modo tale da iniziare a soppiantare le obsolete ed inquinanti centrali con moderne SMR. Infatti, esistono diverse nuove aziende attive nel campo del R&D dei piccoli reattori modulari, ma per la maggiore rimangono idee progettuali. Pochissimi degli SMR proposti sono stati testati e nessuno è attualmente disponibile in commercio, tanto meno autorizzato da un’autorità di regolamentazione. Pertanto, la vera battaglia è investire in queste tecnologie, sperimentarle, permettere il licensing e la distribuzione, solo così in un arco temporale di circa 7-10 anni si potranno vedere le prime unità modulari in funzione. In aggiunta al soddisfacimento del fabbisogno energetico nazionale, il nucleare di nuova generazione offre una serie di vantaggi di carattere ambientale ed economico. In primo luogo la tecnica Natrium prevede l’utilizzo come refrigerante del sodio metallico liquido che presenta un punto di ebollizione più alto rispetto all’acqua e una maggiore abilità di assorbire calore. Nel reattore non si accumulerebbe l’alta pressione tipica della fissione nucleare, di conseguenza il rischio di un’esplosione sarebbe considerevolmente ridotto. Questo sistema di raffreddamento può inoltre funzionare senza una fonte di energia esterna, il che limita i pericoli in caso di arresto di emergenza. 

In secondo luogo come combustibile il reattore di Terrapower impiegherà l’Haleu, materiale metallico basato su uranio mediamente arricchito, ma ad alta densità. Si tratta di un elemento che contribuisce a rendere l’impianto più contenuto in termini di dimensioni rispetto a quelli convenzionali a fissione. L’impatto ambientale dello stabilimento sarebbe minore, e le relative costruzione e manutenzione risulterebbero più rapide ed economiche.

La tecnologia nucleare è inoltre applicabile in molteplici campi, dalla salute ai trasporti. Il nucleare consentirebbe di raggiungere agevolmente gli obiettivi di limitazione alle emissioni di gas serra nell’atmosfera. Già oggi la Francia produce ⅙ dei green-house gas prodotti dalla Germania, in termini di CO2 emessa per KW/h, nonostante gli investimenti in energie rinnovabili varati da Berlino. Infine, come precedentemente esposto, il nucleare a fusione, una volta disponibile, non produrrebbe scorie o rifiuti radioattivi di alcun genere.

Alla luce di quanto presentato, il nucleare di nuova generazione risulta un settore su cui puntare per il futuro del nostro Paese. In primo luogo, cospicui investimenti dovrebbero essere incanalati in direzione delle tecnologie in via di sviluppo su cui si stanno concentrando l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) e la Newcleo, una startup fondata dal fisico nucleare Stefano Buono e dall’ingegnere Luciano Cinotti nell’agosto del 2021. Enea in particolare sta lavorando a due progetti, denominati ITER e DTT. ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), vede la collaborazione di Unione Europea, Cina, Corea, Giappone, India, Russia e Stati Uniti, ed è classificato come progetto di “estrema complessità”. DTT (Divertor Tokamak Test), un impianto creato per sperimentare metodologie volte a ridurre l’impatto ambientale dei reattori a fusione nucleare.

Newcleo sta portando avanti delle ricerche per introdurre il torio tra i carburanti, al fine di superare il problema della non rinnovabilità dell’uranio. A differenza dell’uranio, il torio è maggiormente diffuso in natura, non necessita di essere arricchito e non produce gli stessi scarti nucleari, con conseguente ridimensionamento della problematica delle scorie. Il tempo di decadimento radioattivo del torio è pari a 200-300 anni, rispetto ai 200-300 mila di altri materiali come il plutonio.

Una seconda policy razionale sarebbe rappresentata dalla costruzione di SMR (Small Modular Reactors), piccoli reattori nucleari basati su tecnologie già collaudate che, nella loro evoluzione, potrebbero essere riconvertiti in stabilimenti di IV Generazione. La principale problematica legata al nucleare di IV Generazione è infatti che non è ancora una tecnologia matura. Perché possa essere utilizzata e impiegata su vasta scala secondo le stime attuali sarà necessario attendere il 2040. La realizzazione di SMR consentirebbe nel breve termine di sfruttare una tecnologia già matura come quella della terza generazione avanzata, e di porre le basi per l’accesso alla IV Generazione. Lo step successivo, in un’ottica di lungo periodo, sarà la realizzazione di impianti a fusione.

Ingenti somme dovrebbero inoltre essere stanziate a favore della ricerca e della formazione accademica nel settore, facendo leva sui poli di eccellenza industriale e universitaria (Ansaldo, Sogin, Enea, La Sapienza – Università di Roma, Politecnico di Milano e di Torino per citare i principali) al fine di consolidare ed incrementare il know-how nazionale. I Paesi che hanno mantenuto le competenze scientifiche e industriali nel settore riusciranno a cogliere tutte le opportunità che si presenteranno, ed è fondamentale che l’Italia si doti del know-how necessario.

Per questo motivo, come ultima misura di policy, il nostro Paese dovrebbe sottoscrivere il documento siglato dalla Francia unitamente a Repubblica Ceca, Bulgaria, Croazia, Finlandia, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia a ottobre 2021. Esso potrebbe condurre ad una vera e propria nuclear alliance europea con forme strutturate di collaborazione e partnership legate allo sfruttamento del nucleare. Un rifiuto totale e aprioristico dell’atomo, a volte per motivi più ideologici che tecnici, sarebbe solo controproducente. Si tratta di un’occasione da non sprecare, soprattutto per un Paese come l’Italia che mai come negli ultimi decenni è risultata in ritardo dal punto di vista dello sviluppo tecnologico ed energetico.

(A cura di Gabriele Volpi e Alessandro Urselli)