Jo Jorgensen, la candidata del Partito Libertario alla presidenza degli Stati Uniti nel 2020, scelse di descrivere il concetto di “prostituzione” in due componenti concettuali più semplici: il sesso e il capitalismo.
Questi due concetti nella pratica, seppur in forme diverse, hanno il grande potere di aumentare il benessere dell’individuo. Ora immaginiamo di introdurre l’unione di sesso e capitalismo in un paese dove le più grandi e forti linee di pensiero sono il moralismo cattolico e il socialismo dogmatico: il risultato? Un cortocircuito clamoroso.
Da un lato, il moralismo cristiano è stato a lungo un bersaglio per attivisti e pensatori progressisti che hanno sfidato i suoi dogmi e limitazioni, soprattutto in relazione alla sessualità e ai diritti delle donne. Tra questi, possiamo menzionare pensatori come Michel Foucault, che ha esaminato la relazione tra potere, conoscenza e sessualità nella società, e Simone de Beauvoir, le cui opere hanno sfidato le norme di genere e la moralità sessuale tradizionale.
Tuttavia, la discussione sulla libertà di impresa nel sex work è spesso più complessa e molto meno enfatica. I diritti dei sex workers e la loro libertà di esercitare questa professione in modo sicuro e consensuale sono argomenti di discussione controversi anche all’interno del movimento per i diritti delle donne. Per esempio, Wendy McElroy, scrittrice e analista politica che ha spesso discusso del femminismo attraverso la lente del libertarianismo, sostiene che alcune correnti del femminismo contemporaneo si siano erroneamente allineate con l’ideologia collettivista, interpretando la dinamica di genere in termini di una lotta di classe tra uomini e donne. Questo approccio riduce la complessità delle esperienze femminili a una semplice narrativa oppressore-oppresso e associa il capitalismo a una forza che mantiene le disuguaglianze di genere.
McElroy critica queste posizioni, ritenendo che limitino la libertà individuale delle donne, specialmente riguardo a questioni come il lavoro sessuale e il libero mercato. Secondo lei, tali temi dovrebbero essere considerati arene per l’espressione dell’autonomia femminile. È interessante invece la sua visione di femminismo che valorizza i diritti individuali e la scelta personale, liberi da un’imposizione centralista o autoritaria. Il dibattito si allarga quindi alle questioni della legalizzazione, della regolamentazione e della decriminalizzazione del sex work. Gli attivisti che supportano questi cambiamenti normativi sostengono che tali misure migliorerebbero la sicurezza dei lavoratori del sesso e ridurrebbero lo stigma che attualmente li circonda.
Nel discorso pubblico attuale, emerge spesso l’argomentazione secondo cui la prostituzione sarebbe intrinsecamente dannosa per le donne, implicando che molte di esse siano vittime di sfruttamento criminale. Tuttavia, una tale generalizzazione non riconosce la complessità del tema e potrebbe effettivamente danneggiare chi si trova in tale industria. Riconoscere lo sfruttamento e la violenza come reati a sé stanti, già perseguibili dal Codice penale, suggerisce che l’attenzione dovrebbe concentrarsi sul perseguire i criminali piuttosto che punire collettivamente il settore.
Un’esplorazione di questo fenomeno nel contesto agricolo evidenzia una disparità nel trattamento di diversi settori economici: nonostante l’esistenza dello sfruttamento, non si propone la criminalizzazione dell’agricoltura nel suo complesso. Ciò sottolinea una selettività e un’ipocrisia nelle politiche mirate specificamente contro la prostituzione, quando settori come l’agricoltura o l’industria tessile, dove è documentato lo sfruttamento, non sono soggetti a divieti simili.
A questo proposito è interessante la visione di Israel Meir Kirzner, economista britannico, sull’imprenditorialità: Il mercato come è un ambiente dinamico, in cui gli individui, compresi quelli coinvolti nella prostituzione, possono esprimere la propria creatività attraverso scelte imprenditoriali consapevoli. Contrariamente a una prospettiva limitata e moralistica, l’adozione di pratiche imprenditoriali innovative e responsabili potrebbe offrire un approccio più costruttivo per affrontare le sfide e migliorare le condizioni di lavoro, allineandosi con la visione sull’impresa come un motore di progresso sociale.
La libertà imprenditoriale nel mercato della prostituzione può fungere da catalizzatore per l’innovazione e il miglioramento delle condizioni. Invece di limitarsi a discutere divieti generalizzati, questa prospettiva apre la porta a un dialogo più ampio, consentendo agli individui di sviluppare soluzioni creative ed etiche. Integrare la creatività imprenditoriale in questo contesto potrebbe promuovere un settore più rispettoso dei diritti individuali e orientato al benessere.
È quindi cruciale considerare il concetto fondamentale per il quale privare un individuo della sua libertà economica, come nel caso della prostituzione, è paragonabile a privarlo della sua libertà personale. Queste due libertà sono intrinsecamente intrecciate e indivisibili, e qualsiasi tentativo di limitarne una mina inevitabilmente l’altra. Se neghiamo alle persone il diritto di scegliere il proprio lavoro, stiamo effettivamente limitando la loro libertà personale. L’autodeterminazione nella sfera professionale è un elemento essenziale della dignità umana, e qualsiasi tentativo di sopprimerla rappresenta un attacco diretto ai diritti fondamentali di ogni individuo. In conclusione, è fondamentale adottare un approccio che riconosca la libertà di scelta delle donne e promuova una conversazione più rispettosa nei confronti delle loro scelte individuali, attraverso leggi che tutelino queste scelte e non le criminalizzino. Solo attraverso questo rispetto reciproco possiamo avanzare verso una società più equa per tutti.
(A cura di Aurora Pezzuto)